“Chiuditi a riccio”

Sono particolarmente in difficoltà ad ammettere che, col passare del tempo, trovo questo frammento di Boris sempre meno ilare e grottesco e sempre più adeguato ai tempi.

Ogni mattina mi sveglio e sento un leggero fremito di paura nel prendere il dannato smartphone e aprire i siti dei principali quotidiani. Un fremito di paura, alleviato solitamente dall’ennesima paginata di notizie ordinarie o (nel caso dei quotidiani italiani) semplicemente spazzatura.

Ogni tanto però arriva la mazzata, come stamattina: l’ennesimo episodio di una guerra in corso da prima che io nascessi, che sono abbastanza sicuro non si concluderà prima della mia morte.

Queste notizie orribili ovviamente sono solo picchi acuminati che emergono feroci da un costante sottofondo di schifo e merda che, più o meno indiscriminatamente, permea i canali di informazione, le reti sociali e la nostra vita online.

L’ironia è, appunto, che più vado avanti con gli anni e meno trovo ridicolo il personaggio di Duccio. E forse gli autori di Boris non avevano pensato a questo risvolto, e si ritrovano profeti involontari di un epoca confusa.

La vecchia guardia

Oggi eravamo al bar del paese (in paese qui c’è un solo bar: non c’è modo di sbagliarsi). Stavamo prendendo il sole e ammirando il panorama, in un momento di grazia concesso dalle nuvole che passavano veloci sopra di noi. A pochi metri un tavolo di cinque anziani, evidentemente turisti. Tre donne e due uomini. Ad un certo punto, le signore si alzano e si dirigono altrove, e il rimanente duo maschile non si scompone minimamente, avendo sicuramente un’intesa chiara. Si mettono a chiacchierare, con un tono di voce tutt’altro che mascherato (forse, per l’età, non ci sentono bene). Mannaggia a me a quando non mi faccio i cazzi miei.

– …è un invasione…sono troppi – dice il più apparentemente anziano dei due. L’altro concorda, con evidente cadenza ligure.

– …questi negri…lo vedranno i nostri nipoti…diventeremo un paese creolo… – continua. L’altro non accenna a contraddirlo, ma non aggiunge nulla alla poltiglia melmosa che esce dalla bocca del primo.

– …il governo non fa un cazzo… – Neanche abbastanza fascista questo governo!

Borbotto i miei pensieri, ma non profferisco quello che veramente penso:

“Per fortuna che siete vecchi e tra poco schiattate, così ve li portate presto nella tomba questi pensieri di merda.”

Pensiero sull’omofobia vista dagli occhi dell’omofobo

Premetto che sono un maschio bianco cis. Proprio partendo da questa premessa, mi sono spesso domandato cosa spinge alcuni maschi omofobi a manifestare tale odiosa intolleranza sotto forma di repulsione e paura di essere aggrediti da parte di altri maschi omosessuali. Come se chiunque abbia un pisello senta la necessaria pulsione di infilarlo nel buco che ritiene più appropriato.

Mi è sempre sembrato solo una stupida reazione di repulsione verso l’altro e l’incompreso, ma recentemente ho maturato un altro convincimento: la paura di essere aggredito deriva forse da una considerazione logica chiara e diretta: se io, maschio cis, ho il costante desiderio di soggiogare una donna e usare violenza contro di lei, è naturale aspettarsi che un maschio omosessuale voglia fare la stessa cosa ma verso un altro uomo, potenzialmente verso di me. Il paradosso qui è che il carnefice ha paura di diventare vittima e non si accorge (o ignora) il torto che perpetra costantemente contro la donna.

Capisco che possa sembrare solo un vaneggiamento, ma più ci penso più mi convinco che ci sia del vero in questa considerazione.

Sulla dittatura sanitaria

Ricevo e inoltro con moltissimo piacere questa citazione di Errico Malatesta, di quasi 100 anni fa.

“Riceviamo degli inviti a far la propaganda a favore di questo o quel sistema curativo, fregiato degli aggettivi «razionale», «naturale», ecc., accompagnati da critiche, giuste o ingiuste, contro «la scienza ufficiale».
Noi non ne faremo nulla, perché non crediamo che l’essere anarchici dia a noi o ad altri il dono soprannaturale di sapere quello che non si è studiato.
Comprendiamo tutto il male che l’attuale organizzazione sociale, fondata sull’egoismo e sul contrasto degli interessi, fa allo sviluppo della scienza ed alla sincerità degli scienziati. Sappiamo che molti medici, spinti dall’avidità e spesso forzati dal bisogno, prostituiscono quella che dovrebbe essere una delle più nobili missioni umane, e ne fanno un vile mercimonio. Ma tutto questo non ci impedisce di comprendere che la medicina è una scienza ed un’arte difficilissima che richiede lungo ed arduo tirocinio e non si apprende per intuizione – e per conto nostro, quando fosse il caso, preferiremmo ancora affidare la nostra salute ad un medico disonesto, piuttosto che ad un’onestissimo ignorante il quale credesse che il fegato si trova nella punta dei piedi.
Secondo noi hanno torto quei compagni che prendono partito per un dato sistema terapeutico solo perché l’inventore professa, più o meno sinceramente, idee anarchiche e si dà l’aria del ribelle e tuona contro «la scienza ufficiale». Noi, al contrario, ci mettiamo subito in guardia se vediamo che uno vuole avvalersi delle sue idee politiche per far accettare le sue idee scientifiche e ne fa una questione di partito.
Vi è tra noi la tendenza a trovare vero, bello e buono tutto ciò che si presenta sotto il simpatico manto della rivolta contro «le verità» ammesse, specie se è sostenuto da chi è, o si dice, anarchico. Il che dimostra una deficienza di quello spirito di esame e di critica che dovrebbe essere sviluppatissimo negli anarchici.
Sta bene il non considerare come definitiva nessuna delle conquiste dell’intelligenza umana ed aspirare sempre a nuove scoperte, a nuovi progressi, ma bisogna badare che non sempre il nuovo è migliore del vecchio, e che la qualità di anarchico non porta con sé il dono della scienza infusa. (…) non ci pare troppo il pretendere che chi vuole criticare e combattere i metodi vecchi sappia quali essi sono e quali sono i fatti accertati in favore o contro di essi. In altri termini, noi domandiamo semplicemente che chi vuole parlare di una cosa si prenda prima la briga di studiarla. Se vi sono dunque dei compagni che si sentono la competenza di discutere di materie sanitarie lo facciano pure, ma non domandino a noi di parlare di quello che noi non sappiamo.
Del resto, noi conosciamo dei valenti medici che professano le idee anarchiche; ma essi non parlano di anarchia quando fanno della scienza, o ne parlano solo quando la questione scientifica diventa questione sociale, cioè quando constatano che l’attuale organizzazione sociale inceppa i progressi della medicina ed impedisce che essi siano applicati a beneficio di tutta l’umanità.”

 

Errico Malatesta, “Pensiero e Volontà”, 1 marzo e 1 maggio 1924.

– Citato in “Il buon senso della rivoluzione”, Elèuthera, a cura di Giampietro N. Berti.

Il paese dei cavalli

Inauguro questo blog con una fiaba metaforica (spero) edificante, nello spirito di quelle di Ascanio Celestini.


Questa è la storia del paese dei cavalli. Ma non preoccupatevi, questa storia non parla di cavalli. Parla di uomini. L’umanità non è mai stata particolarmente generosa con se stessa, figuriamoci con le altre specie.

Ma torniamo a noi: nel paese dei cavalli si è sempre fatto di tutto con i cavalli: i cavalli aiutano a coltivare i campi, i cavalli trasportano delle cose pesanti per te, con il cavallo ti puoi velocemente spostare da un luogo ad un altro. Il cavallo è un animale fantastico, e gli abitanti del paese dei cavalli lo sanno bene.

I cavalli sono sempre stati il centro di tutto nel paese dei cavalli, da sempre l’uso dei cavalli ha consentito all’uomo di migliorare la propria condizione. Prima i cavalli venivano usati in maniera disorganizzata, poi col tempo si è iniziato ad allevarli e a selezionare razze sempre migliori per gli scopi che servivano agli uomini: cavalli veloci per spostarsi, forti per il trasporto di merci, cavalli che producessero letame buono e in gran quantità per la coltivazione nei campi.

Col passare del tempo l’uso dei cavalli si è sempre più specializzato, e di conseguenza anche l’allevamento e la preparazione: cavalli dedicati solo al trasporto delle merci in lunghe carovane; cavalli per spostarsi da un luogo ad un altro, sempre più veloci, sempre meglio addestrati a sopportare la fatica; cavalli per la macinatura, cavalli per il letame, un cavallo per ogni attività umana.

L’uso dei cavalli era tanto efficace che le persone del paese dei cavalli vivevano sempre meglio, e sempre di più avevano modo di mettere dei soldi da parte. Ma con i soldi ad un certo punto qualcosa ci devi fare. C’era chi li usava per mangiare, chi per bere, chi per comprare oggetti. C’era qualcuno che ne voleva di più e aveva iniziato a prestarli, proprio agli allevatori di cavalli, che spesso avevano bisogno di quei soldi per far crescere le loro attività.

Questo permetteva un certo guadagno a chi prestava i soldi, lungo un certo periodo di tempo. Non sempre, certo: a volte gli allevatori di cavalli finivano male, non erano in grado di continuare a competere con altri allevatori e di conseguenza non erano in grado di restituire i soldi prestati con un interesse, a volte non erano neanche in grado di restituirli per nulla. Ma era un rischio che chi prestava i soldi era spesso disposto a correre.

Anzi, erano disposti a correre rischi molto maggiori. Ad un certo punto a qualcuno, non si sa chi, venne in mente di usare le corse dei cavalli, che si facevano come attività ludica ogni tanto, come oggetto di scommesse. Si scommettevano soldi, ovviamente. Io scommetto sulla vittoria di un tal cavallo, qualcun altro scommette sulla vittoria di un altro, chi vince tiene tutti i soldi. Questa sì che era un’attività rischiosa, ma a molte persone nel paese dei cavalli questa cosa piaceva molto. Dapprima questa pratica era occasionale, qualcuno vinceva, qualcuno perdeva e ci si rivedeva alla prossima corsa, con qualche soldo messo da parte nel frattempo, a scommettere di nuovo.

Ma l’attività di scommettere prese sempre più piede nel paese dei cavalli. Tanti iniziarono a farlo ad ogni corsa, e a scommettere cifre molto grandi. Qualcuno era anche bravo (o fortunato, fate voi) e riusciva a vincere spesso. Taluni dopo un po’ smisero di lavorare e iniziarono a vivere di scommesse. Questa cosa incuriosiva molti, ma era difficile e rischioso entrare in questo mondo. Fatto sta che le corse aumentarono di frequenza, e arrivarono ad essere quotidiane. Con l’aumentare delle corse aumentava anche il desiderio di partecipare al gioco di tanti abitanti del paese dei cavalli. Nacquero tanti ippodromi, alcuni più famosi di altri, che erano sempre abbastanza pieni. La quantità di scommesse che si potevano fare era limitata però, non si poteva scommettere all’infinito su una corsa: c’era un intervallo di tempo entro cui si poteva scommettere. Ad un certo punto le scommesse stesse iniziarono ad essere scambiate e, dopo un po’, vendute. Se qualcuno aveva piazzato una scommessa che faceva gola ad altri, la poteva scambiare per altre scommesse o vendere per denaro.

Questo non riusciva comunque a soddisfare tutta la sete di scommesse dei nostri cari abitanti del paese dei cavalli. Allora a qualcun altro, anch’egli ignoto, venne in mente un’idea geniale: perché non scommettere sulle scommesse? Scommetto che una scommessa sarà sempre più interessante man mano che ci si avvicina al momento della corsa, o che tutti si accorgeranno che è una scommessa perdente e che quindi chi la ha in mano poco prima della corsa se ne vorrà liberare. Queste scommesse sulle scommesse si possono vendere e comprare a loro volta! Geniale no?

Fatto sta che questo finanziare scuderie, scommettere e scommettere sulle scommesse andava avanti da un po’ e in queste complicate pratiche c’era qualcuno che più di altri si era affermato. Non tutti nel paese dei cavalli avevano il tempo e le competenze per scommettere, ma era una cosa con cui si potevano fare più soldi. Allora questi grandi scommettitori, quelli bravi (ma a volte anche dei ciarlatani) si proponevano di scommettere per te: dandogli dei soldi, loro facevano tutta una serie di elaborate scommesse per garantirsi un guadagno; se questo avveniva, restituivano i soldi che avevano ricevuto in prestito, più un piccolo guadagno, tenendo il resto per loro. Questo era fantastico per tutti gli abitanti del paese dei cavalli che volevano provare a guadagnare qualcosa nel mondo delle scommesse, senza però avere il tempo o la voglia o le capacità per dedicarcisi a tempo pieno. Molti abitanti del paese dei cavalli usavano questa pratica, negli anni, per accumulare un po’ di soldi e farsi una pensione. Persino il re, attraverso delle persone di fiducia della corte, scommetteva.

Fatto sta che la vita nel paese dei cavalli ultimamente era sempre migliore, forse anche per le vittorie nelle guerre con i paesi limitrofi che avevano permesso di guadagnare molti schiavi agli abitanti del paese dei cavalli. Una pacchia, c’era sempre meno necessità di dedicarsi così ai lavori di fatica e a quelli manuali. Sempre di più si poteva scommettere in quella che i nostri cari abitanti del paese dei cavalli avevano iniziato a chiamare la grande ruota, forse dalla forma circolare delle piste da corsa negli ippodromi, forse per il percorso che loro dicevano circolare dei soldi. Dato il tempo libero, che era molto aumentato, si erano aperti molti bar e luoghi di aggregazione per gli abitanti del paese dei cavalli e molti si erano messi a discutere sugli andamenti di questa grande ruota. A qualcuno non stava bene che però ci fossero pochi, grandi scommettitori. Le loro scommesse erano talmente grandi che i piccoli, come loro, si sentivano quasi in difetto di avere un’opinione differente.

Un giorno, in uno dei bar più popolari e frequentati, qualche abitante del paese dei cavalli iniziò a fare rumore, a battere sul tavolo e a gridare verso gli altri: “Basta! E’ ora di smetterla! Questi pezzi grossi della ruota ci hanno rotto!”. E molti attorno iniziarono a mugugnare in senso di approvazione. Parlando di un particolare scommettitore poi: “Adesso è il colmo: quello ha persino scommesso contro Palla di fuoco. E’ assurdo! Sapete che vi dico? Io scommetto a favore. Palla di fuoco è fortissimo. Ti pare che perde. Ci metto metà di quello che ho, diamine!”. Un altro si alzò e disse: “Bravo! Sono d’accordo. Palla di fuoco è fantastico. Pure io ci scommetto!”. Possiamo immaginare come sia proseguita la conversazione, con proclami e grandi brindisi. Fatto sta che, forse per la foga, le scommesse sul povero Palla di fuoco iniziarono a lievitare di valore. Sempre più abitanti del paese dei cavalli, piccoli scommettitori, avevano sentito la lieta novella della ribellione contro il monopolio dei grandi scommettitori. Incredibilmente, tutto questo senza che Palla di fuoco corresse neanche un giorno, perché le sue corse erano programmate solo dopo qualche settimana. Ma la ruota non si fermava mai e il valore delle scommesse sulle scommesse di Palla di fuoco oscillava incessantemente, con variazioni incontrollabili. Anche il valore delle scommesse su Palla di fuoco andava in alto in maniera folle. I grandi scommettitori, che scommettevano e commerciavano di scommesse e scommettevano sulle scommesse e commerciavano di scommesse sulle scommesse, si ritrassero un po’ indispettiti in quei giorni. La gran confusione attirò anche l’attenzione degli amministratori dell’ippodromo in cui si sarebbero dovute tenere le corse di Palla di fuoco e di tutti gli amministratori degli ippodromi in cui le scommesse su Palla di fuoco si commerciavano. I grandi scommettitori erano i loro clienti migliori, non si poteva rischiare che cambiassero ippodromo, o che finissero fuori dalla ruota. Venne sospeso lo scambio di scommesse sul povero Palla di fuoco (che, a dirla tutta, se ne stava beato nella sua stalla a mangiare fieno e, ogni tanto, veniva fatto uscire per allenarsi). Questo fece scandalizzare tutti nel paese dei cavalli, dai piccoli scommettitori di tutti i bar del paese, alla corte, fin’anche il re si accigliò per questa situazione.

Fu proprio un gran putiferio, ma si risolse con grandi proclami e nel giro di qualche mese si tornò alla situazione precedente.


La morale questa storia non ce l’ha. Forse noto che il nome più appropriato per gli abitanti del paese dei cavalli sarebbe cavallari.